Primavera, la stagione più bella.
Tutto rinasce di nuova vita al suo passaggio. È l’apice della vita stessa e viene spontaneo associarla alla gioventù.
Quando tentavo di immaginare come raffigurarla mi sono reso conto che la vedevo così: di spalle, in controluce rivolta al Sole.
Da giovani si è troppo occupati nell’esplorazione della vita e delle sue meraviglie, per apprezzarla davvero, prendere coscienza della sua bellezza. Ne siamo immersi e nemmeno ce ne accorgiamo, illudendoci che duri per sempre.
Quando realizziamo che se ne sta andando per non tornare mai più vorremmo trattenerla, faremmo qualsiasi cosa perché restasse ancora con noi.
Poi un giorno scopriamo la verità: siamo noi che ci allontaniamo da lei.
Ormai distanti continuiamo ad ammirarla, lì dove l’abbiamo lasciata; accarezzata da una leggera brezza, baciata dal Sole, intenta ad accogliere i nostri ragazzi, i nostri figli, dandoci le spalle.
Per questo motivo non conosco il suo volto e non potrei disegnarlo, ma immagino che sulla sua scapola destra abbia una cicatrice a forma di Berkana, il simbolo runico del rinnovamento, della rinascita.
Mi piace pensare rappresenti la gioventù che si rifiuta di soccombere in ognuno di noi, perché sono certo che qualcosa di lei ci resti dentro per sempre.
E ogni tanto voltiamo lo sguardo e le diamo un’occhiata. È sempre bellissima.
Esiste un momento della nostra vita in cui le nostre due entità temporali si incontrano e si confrontano. Descrivo ampiamente il mio personalissimo confronto nel libro “Pensieri folli d’un cadavere qualsiasi”.